Seconda caratteristica che mi riconosco è la praticità e la concretezza. La mia stessa provenienza dal mondo contadino e pastorale mi ha sempre orientato più a fare cose concrete che a divertirmi. Da piccolo mi rimproveravano forse per la lentezza, ma mi educarono al lavoro, ad occuparmi delle cose da fare e in questo sia papà che i fratelli maggiori mi davano l’esempio. L’attrazione verso le cose mi inclinava a guardare, osservare e a imitare, a scoprire, a confrontare, ad analizzare piuttosto che a filosofare, a ragionare. Non amavo la filosofia e il pensiero astratto perché non lo comprendevo. Lo stesso modo di studiare mi portava a schematizzare, a riassumere e a fissare i punti principali in uno schema. Amavo le materie pratiche e concrete, la pedagogia piuttosto che la filosofia, la sociologia piuttosto che l’arte con le loro fantasiose descrizioni. Durante gli studi di filosofia, il mio tempo libero lo dedicavo a coltivare le api invece che a giocare. Tempo libero per fare che?
Il tempo per me è sempre stato una ossessione perché mi basavo su alcuni principi: uno di questi è un detto di Dante “il perder tempo a chi più sa, più spiace” (Purg 3,78) e poi perché il tempo una volta perso, è perso per sempre. Il tempo è prezioso, è una moneta che si può spendere una volta sola, non la si recupera mai: occorrerà altro tempo, ma non sei mai sicuro di averne altro a disposizione. Anche i proverbi ce lo ricordano: “Chi ha tempo, non aspetti tempo” perché non si sa mai se ci sarà: sono verità che valgono sia per i giovani che per gli anziani. Questi sono principi che ho sempre cercato di inculcare si miei allievi come anche ai miei collaboratori.
In Russia ho dedicato un numero di Plus Odin all’argomento tempo. Non ho tempo è una falsa scusa. Il tempo è suddiviso in anni, mesi, settimane, giorni, ore e minuti e anche questi ultimi possono essere utilizzati senza sprecarli. Ad una studentessa universitaria spiegavo come si possono utilizzare proficuamente anche i “tempi morti o vuoti”, durante un viaggio, nei tempi di attesa, ecc. per leggere un libro, memorizzare poesie o pregare. Portavo il mio esempio dicendo che proprio utilizzando i “ritagli di tempo”, avevo imparato le lingue, ripetendo espressioni lette da un libro o dagli appunti. Ricordo che in collegio utilizzavo i tempi morti dei passaggi da un ambiente all’altro (in fila e in silenzio) per ripassare nozioni di varie materie.
Nei campi scout mi trovavo sempre qualcosa da fare: raccogliere legna, intagliare oggetti con il coltello, costruire ponti sul ruscello, annodare cordicelle per fare nodi per il fazzolettone, cinture, braccialetti con il makramée. Suggerivo di non perdere o “sprecare il tempo”, anche se ne avevano tanto a disposizione.
Nella vita c’è tempo per tutto, se lo si sa utilizzare bene. Come dice anche la Bibbia: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo, ecc.” (Qo 3,1-8). Non sopporto l’ozio e cerco sempre di essere occupato, di aver qualche cosa da fare. Molte volte faccio anche due lavori in contemporanea. Dicono che questa sia una caratteristica dei pesci.
Quando entrai nel movimento scout e conobbi i suoi principi, mi trovai subito a mio agio perché era un metodo basato su cose molto concrete: l’osservazione, la natura, imparare facendo, le tante attività e abilità manuali, la concretezza delle proposte, la formazione del carattere e la progressione personale, il sentiero, la strada, salute e forza fisica, la responsabilità, la legge, l’essenzialità, il servizio.
In cucina

Quando mi si presentava l’occasione, mi sono anche impegnato in cucina. Ero stato abituato, sia in famiglia che in comunità, ad accontentarmi di quanto mi veniva offerto sulla tavola. Ci sono però stati delle situazioni dove ho dovuto fare da solo. Da una mia sorella avevo sentito che suo figlio si preparava la torta, allora mi son detto che avrei potuto provarci anch’io. In Russia preparavo per lla domenica una torta, una crostata o altri dolci per sottolineare la festività. Mia cognata dalla Germania mi aveva regalato un miscellatore per impastare le torte e questo mi facilitava il lavoro. Un prezioso libretto di ricette di dolci, appartenuto a mia madre, mi dava tanti spunti. In Russia, ma anche a Castelgandolfo, oltre che le torte, preparavo la macedonia di frutta che era molto gradita (per scherzo mi chiamavano “il macedone”). Anche negli anni di Torrita dovevo prepararmi da mangiare e allora mi servivo della consulenza di una sorella o di un’amica o di una ricerca in internet per avere i suggerimenti necessari.
Sapevo preparare risotti con i più svariati condimenti e le frittelle di patate o di mele. Talvolta mi sono cimentato e anche con discreto successo nei dolci tradizionali trentini come lo Strudel o Zeltem (dolce natalizio).
