Ordinazione sacerdotale di mio fratello P. Angelo
Dopo la terza media, a fine giugno 1955 potei andare a casa per assistere alla ordinazione sacerdotale di mio fratello P. Angelo, dei padri Venturini, avvenuta nel duomo di Trento. Un fratello che io vedevo molto di rado. Era andato a studiare dai Venturini quando io ero appena nato. Dopo la sua ordinazione passai tre settimane a dipingere persiane e porte di casa mia in preparazione alla prima messa che mio fratello avrebbe celebrato in paese alla terza domenica di luglio, festa patronale del SS. Redentore. Fu una fatica che ricordo ancora oggi: consumai 20 chili di vernice. Papà mi aveva insegnato come tenere il pennello e come tirarlo su porte e persiane rinsecchite e scolorate, senza lasciare troppo colore. La festa per
la prima messa di mio fratello deve essere stata molto semplice e povera e la ricordo meno. So solamente che il pranzo fu fatto in casa, sulla terrazza con arredamento (tavoli e sedie) raccolto anche dai vicini. Le cuoche erano delle vicine di casa. Ho una piccola fotografia sbiadita e poco nitida del gruppo degli invitati, perlopiù parenti.
Peritonite acuta
Le vacanze estive le passavamo per alcune settimane (mai più di tre) in famiglia e poi per circa un mese in val d’Aosta, nella valle di Gressoney, nella frazione di Wald (1380 m. di altezza), poco prima di Saint Jean. Dopo le faticose giornate della ordinazione e prima messa di mio fratello, ritornato a Penango e andato come sempre in vacanza a Gressoney, durante la festa dell’Assunta fui colpito da un forte mal di pancia che durò vari giorni. Il 17 agosto 1955 fu una giornata memorabile. Da Villa Moglia arrivavano i neo-professi per passare un periodo di vacanza. Tra essi c’era anche mio cugino Franco Sandri. Quel giorno, mentre io ero costretto a letto dal male, i miei compagni avevano fatto una gita al Mont Nery dove avvenne una disgrazia. Una pietra maldestramente mossa da qualcuno, rotolò giù ferendo mortalmente alla testa Leo (un ragazzo di Latina) e ferendo gravemente Pingitore. Ricordo ancora momento per momento l’eccitato annuncio di chi era tornato per dare la brutta notizia, la partenza per soccorso dei neo-professi appena arrivati, il trasporto del cadavere di Leo fino a casa nostra verso sera. Io dal camerone ero stato trasferito in una stanza della palazzina della direzione e mi dovettero spostare al piano superiore, per lasciare il posto alla camera ardente. Ricordo il giorno dopo il funerale e la partenza della bara che io seguivo dalla stanzetta dove riposavo. Dopo questo funerale il direttore fece pregare i miei compagni per la mia guarigione. Organizzarono un’ora di adorazione, durante la quale, sia per l’ambiente chiuso che per lo spavento, mi riferirono che qualche ragazzo era svenuto e questo accrebbe l’impressione. Purtroppo i miei dolori non accennavano a diminuire e allora, dopo un consulto con il medico di Gressoney, decisero di portarmi in basso, al caldo, cioè a Penango. Ricordo con pena questo viaggio su un camioncino, l’incontro con il caldo della pianura, l’istituto deserto, la visita del medico dell’istituto che pronosticando tifo, consigliò di trasferirmi subito all’ospedale civile di Asti, dove la sera stessa (ero ricoverato da poco) scoppiò l’appendicite trasformandosi in peritonite e fu deciso di operarmi d’urgenza e in condizioni disperate. Era verso sera, verso il tramonto del sole. Ricordo le urla di dolore e l’incontro con il cappellano che venne a confessarmi. Dopo l’operazione fui messo in sala di decesso. Ero assistito da don Jan Tocký, il chierico slovacco, capitato lì provvidenzialmente poco prima dell’operazione. Egli in quei giorni era in attesa di partire per l’Inghilterra a studiare teologia. Lo rividi solo 32 anni dopo all’UPS. Don Tocký mi assistette durante la notte e al mattino, quando mi svegliai, mi aiutò a recitare le preghiere del mattino.
22 agosto 1955. L’operazione di peritonite acuta ormai perforata mi riferirono che era durata oltre due ore. Dopo l’operazione, tutto intubato e legato, mi misero in una stanzetta “di decesso” dubitando che sopravvivessi. Le buone suore FMA mi avevano raccomandato a don Rinaldi, e la “grazia” della mia guarigione fu poi pubblicata sul Bollettino Salesiano nel giugno 1956. “Aspirante missionario guarito da peritonite diffusa”! Di quei giorni (ben 34) passati all’ospedale ho conservato per anni un vivo ricordo. Quasi un anno dopo ho scritto alcuni appunti per ricordare i dettagli di quei giorni. Disegnai persino la posizione del mio letto (n.58) nella stanza dove erano ricoverati anche altri malati.
La mia famiglia, avvisata della mia situazione con un telegramma, non poté far molto. Ero lontano più di 400 km da casa e per di più si dovevano prendere ferrovie secondarie, non facili per chi, come mio papà, non era abituato a viaggiare. Dopo alcuni giorni venne papà da solo a trovarmi e invece di informarsi sulla mia salute, chiese al direttore se mi comportavo bene. Il direttore ne fu impressionato e me lo ricordò più di una volta. Dopo la lunga degenza, ritornai a Penango il 24 settembre e continuai a stare ritirato per almeno un mese dimorando nell’infermeria, avendo ancora la ferita aperta, bisognosa di essere medicata ogni giorno. In quei giorni dovendo vivere fuori comunità, mi occupai di traduzioni dall’inglese e in panetteria al caldo aiutavo il sig. Valla a preparare il pane. Di questa “avventura” della peritonite conservo sulla pancia una vistosa cicatrice.