Mio compito a Berlino

La mia prima storica macchina fotografica, semplice ed essenziale

Durante il tirocinio, oltre a perfezionarmi nella lingua tedesca con lo studio personale e l’aiuto volonteroso dei ragazzi, che facevano a gara per insegnarmi parole nuove, imparai tante cose e facevo del mio meglio per rendermi utile nell’assistenza nel cortile (quando faceva bello) o nella sala dove facevano i compiti, nelle camerate (8 letti per camera). sviluppando soprattutto le mie doti pratiche: aggiustaggio dei giochi, allestimento di bacheche, piccole costruzioni.

Quattro discoli nel “Sandkasten”

Il direttore (P. August Klinski) mi regalò la mia prima macchina fotografica: un’Agfa-Box con la quale feci i primi esperimenti fotografici usando rullini da 12 foto in formato 120. Per questo d’ora in avanti posso fornire maggior materiale illustrativo.

I “Roller”, uno dei divertimenti dei ragazzi

 

Soprattutto nel primo anno, dedicavo la mattina (quando i ragazzi erano a scuola) allo studio della lingua: ascoltavo la radio (verificando il mio grado di comprensione) oppure leggevo il giornale diocesano, dal quale annotavo le parole nuove che man mano imparavo, su dei quadernetti di vocaboli, dopo averne cercato il significato sul vocabolario.

Una domenica a passeggio con i più piccoli davanti ad un monumento

Dopo il primo anno mi aspettavo di andare subito in teologia, come previsto, invece il direttore insistette considerando la mia giovane età e mi invitò a rimanere ancora per un anno. Le vacanze le passai a Penango, dove ebbe luogo un incontro di ex allievi. Mi impegnai a trovare un sostituto da inviare Berlino, e non avendolo trovato, mi sacrificai per un secondo anno.

Il secondo anno fu più facile del primo. Intanto c’erano anche altri due chierici tedeschi e poi io sapevo già meglio la lingua. Il direttore, in vista del mio ritorno, aveva accettato altri ragazzi nel primo gruppo e una dozzina venivano affidati direttamente alla mia cura. Alla domenica ogni tanto li accompagnavo a passeggio.

Le vacanze estive le passavamo con il nostro gruppo nella Selva Nera nei pressi di St. Märgen. Eravamo ospitati dalla famiglia Faller, una famiglia simile alla mia (10 figli, 6 femmine e 4 maschi), in un grosso cascinale che possedeva mucche, maiali, cavalli, prati, boschi e campi. I Faller ci mettevano a disposizione alcuni ambienti rustici che noi cercavamo di rendere abitabili.Il granaio sotto il tetto veniva adattato come dormitorio: i sacchi a pelo restavano appesi alle travi da un anno all’altro, ma noi talvolta dovevamo raccogliere in sacchi il grano sparso sul pavimento a seccare; il garage dei trattori, dopo essere ripulito alla meglio, serviva come refettorio e come sala per tutto; la cantina, o meglio il deposito delle patate, dopo una accurata e faticosa ripulita, veniva adibita a cucina e dispensa: questi ambienti richiedevano molto lavoro per essere puliti, sgombrati e preparati a ricevere i ragazzi. In quell’ambiente contadino mi sentivo di casa e più di una volta vissi qualche giorno in questa ospitale famiglia quando arrivavamo in due in anticipo a preparare il campo. Un anno una delle figlie Faller (Agnes) ci fu messa a disposizione come cuoca: in lei trovai una delle mie prime amiche con la quale rimasi in corrispondenza diversi anni.

Durante una passeggiata
Scene nel Fallerhof

Nel mese che passavamo in vacanza presso la famiglia Faller, si organizzavano diverse attività ricreative: un prato e uno stagno erano a nostra disposizione per giochi e per feste (come la giornata degli indiani), quando non pioveva. Nella Selva Nera ricca di boschi era facile che piovesse, e allora si organizzavano giochi o altre attività all’interno. Nei boschi raccoglievamo i mirtilli che gustavamo poi con il latte freddo a merenda.
Tutti i giorni si faceva una passeggiata nei dintorni anche con la pioggia (i ragazzi erano attrezzati con un poncho impermeabile e degli stivali).
Alla domenica, vestiti a festa (camicia bianca e pantaloni di cuoio) si saliva al paese di St. Märgen per la messa.
La vita di campagna in quella grande fattoria mi faceva sentire a mio agio. Anche i ragazzi berlinesi si trovavano bene e si divertivano tantissimo. Ma ovviamente i ragazzi “di città” erano curiosi di vedere il lavoro dei contadini, e di osservare le bestie soprattutto: le mucche che rientravano dal pascolo e il recinto dei maiali che era sotto i loro occhi. Noi cercavamo di essere discreti e di non intralciare o disturbare il lavoro ai nostri ospiti.

In questo Faller-Hof mi recai anche altre volte negli anni successivi durante le vacanze della teologia. Un anno feci venire per alcuni giorni anche mio fratello p. Angelo (fu la prima volta che potei restare con lui per una settimana!). Un anno coinvolsi anche mio nipote Adriano da Monaco, che era della stessa età dei nostri ragazzi. A riportarlo a casa venne mio fratello e mia cognata coi quali poso per una foto ricordo.

Durante questo periodo non mancarono anche gite più lontane di qualche giorno in Italia o in Svizzera, alloggiati nell’istituto salesiano di Maroggia. Presso Lugano per esempio visitammo la Svizzera in  miniatura  e  in Italia li portai  in valle d’Aosta ad ammirare il  Cervino. Passando per Milano in agosto deserta mi venne in mente di acquistare e far degustare un frutto che loro conoscevano soltanto come essiccato: dei fichi freschi. 

Un evento straordinario che ricordo fu un anno la visita del cancelliere tedesco  Kissinger, in una enorme Mercedes bianca, accompagnato dalla scorta e da una troupe televisiva che riprese anche la vita dei nostri ragazzi al campo estivo.

Una risposta a “Mio compito a Berlino”

  1. Lieber Herr Tabarelli,
    Was für ein bewegtes und interessantes Leben!
    Ich habe Sie als einen sehr liebenswerten und interessanten Menschen damals im Don Bosco Heim in Berlin Wannsee und in den Sommerferien auf dem Fallerhof kennengelernt.
    Ich kann mich noch sehr gut daran erinnern wie Sie uns auf den Wanderungen eine Farnart gezeigt haben deren Wurzeln man lutschen konnte. Dadurch war ich in der Lage diese Farne selbst zu entdecken und auszugraben. Diese Fähigkeit habe ich aber später verloren und weiß heute nicht mehr um welche Farne es sich handelte.
    Auch an die Fahrt ins Aostatal und das Einsammeln (Verboten!) am Fuße des Monte Rosa von Edelweiß und verwahren in unsere Brotboxen kann ich mich noch erinnern.
    Auch wie wir Ihnen unentwegt auf den Wanderungen deutsche Worte beibringen wollten.
    An ein Wort habe ich noch eine lustige Erinnerung die ich hier aber nicht benennen möchte da es etwas heikel wäre.
    Ich wünsche Ihnen noch alles Liebe und Gute in Ihrem Leben und verbleibe
    Harald Leuschner (damals 10 Jahre alt heute 66)

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